Occhio alla “erre”, è una sola, anche se in provincia di Palermo tutti la raddoppiano quando nominano questo paesino “gemello” di San Giuseppe Jato. Che non deve il suo nome a un santo dall’improbabile nome, ma probabilmente a un tale Sancio Pirrello, proprietario terriero. Questa è una zona agricola e pastorale, un paradiso per gli amanti di formaggi e salumi, dal caciocavallo palermitano di latte di mucca cinisara al pecorino, la ricotta fresca, la ricotta salata (seccata al sole e infine infornata), e i salumi di maiali allevati in zona. Olio, grano e vigneti completano il quadro: grazie alla presenza di cantine grandi e piccole che esportano in tutto il mondo, quest’area rientra tra le principali vie del vino e degli itinerari enogastronomici di Sicilia. Ma San Cipirello e San Giuseppe Jato meritano una visita non solo per i loro sapori genuini. C’è un autentico tesoro nascosto tra queste montagne, un gioiello da riscoprire. È l’area archeologica sul Monte Jato, la città di Jatum, che ha origini antichissime e che fu abitata nei secoli da Greci, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi. Distrutta da Federico II novecento anni fa, Jatum però si può ancora immaginare viva grazie agli scavi archeologici dell’Università di Zurigo, a cui si sono aggiunti l’Università di Insbruck e un gruppo archeologico locale. Organizzate una bella salita di trekking sul monte e arrivati a destinazione provate a non rimanere a bocca spalancata davanti al Tempio di Afrodite, al Teatro, alla Casa a Peristilio, all’Agorà (con tanto di basolato).